Proseguono le interviste di QA Comics, abbiamo incontrato Marco Rincione sceneggiatore di Paperi-PaperUgo, primo volume di una trilogia di piccoli fumetti edita da Shockdom e realizzata in collaborazione con il fratello gemello Giulio, fumettista affermato del collettivo Pee Show.
Da dove nasce l’idea di utilizzare dei paperi antropomorfi come protagonisti delle tue storie?
Di questa idea, vera origine della trilogia dei Paperi, non posso (purtroppo!) prendermi alcun merito. Tutto è iniziato un giorno di metà settembre, quando mio fratello Giulio pubblicò sui social il disegno di un papero triste dai tratti a noi familiari. Quel disegno, che ribaltava letteralmente il nostro immaginario disneyano, scatenò una reazione entusiastica da parte di molti, il che convinse Lucio Staiano – editore di Shockdom, con cui Giulio aveva già pubblicato la sua prima graphic novel, Paranoiæ – a trasformare quell’idea in un progetto più esteso. Giulio accettò la proposta e mi indicò come possibile soggettista e sceneggiatore.
L’elemento geniale di Paperi: PaperUgo è sicuramente la trasfigurazione del classico personaggio disneyano che, da soggetto comico e divertente, si trasforma in una cruda parodia delle nevrosi e delle insicurezze legate alla vita quotidiana. Quali sono stati i passaggi fondamentali che hai utilizzato per creare un tale e apprezzato stravolgimento d’identità del protagonista?
Sebbene non se ne faccia (non a caso) alcuna menzione, il nostro PaperUgo non è un semplice papero deluso dalla vita. È un papero depresso, depresso nel senso che sulle sue spalle grava una diagnosi psichiatrica di depressione maggiore, una malattia che invalida e debilita profondamente chi ne è affetto. Solo che, a differenza di chi si dichiara depresso solo perché ha avuto una brutta giornata, chi è davvero depresso non vuole usare quella parola, perché non si sente affatto malato; anzi, crede di aver raggiunto per la prima volta un grado di consapevolezza assoluto per quanto riguarda il mondo e le sue dinamiche. Per ottenere il massimo livello di verosimiglianza, mi sono rifatto a racconti di vita vera di persone depresse che ho conosciuto e ne ho dedotto che le caratteristiche comuni della depressione fossero il senso di nullità e di colpa, la paura di sprofondare in un abisso angosciante da cui è impossibile riemergere. Il tutto – sia ben chiaro – nella vita di ogni giorno e in momenti del tutto normali: vedere gente che beve in un bar, essere urtati per strada, fare la spesa e rovesciare qualche moneta per terra al momento di pagare…
L’eterna spaccatura tra finzione e realtà è uno degli aspetti fondamentali che caratterizza PaperUgo, costantemente in conflitto tra la sua identità sotto i riflettori e la devastata personalità che emerge fuori dal set. Consideri la tua sceneggiatura come un manifesto all’apparenza che trae in inganno oppure come una denuncia sociale della superficialità dell’animo umano?
Il conflitto, che è avvertito dai lettori, non è avvertito da PaperUgo. PaperUgo recita, per lui è un lavoro simile a timbrare meccanicamente documenti: nel mondo in cui vive – spaccato tra paperi sottomessi e topi dominanti – quasi tutti i paperi sono attori (malpagati e di scarso successo, chiaro). Sicuramente c’è una certa critica verso l’inganno dell’apparenza: proprio quell’attore che interpreta i ruoli più divertenti e godibili, è in realtà un essere devastato nell’intimo, e nessuno potrà mai avvicinarglisi tanto per accorgersene. Lo ammetto, ho pensato più volte a Robin Williams e alla sua fine (nonostante poi siano state chiarite meglio le motivazioni alla base del suo gesto); nel film Al di là dei Sogni (il cui titolo originale è un verso dell’aspirante suicida shakespeariano Amleto: What Dreams May Come), abbiamo conosciuto Robin Williams come l’eroe che sconfigge il suicidio. Poi, però, abbiamo scoperto che nella vita reale questa vittoria non era avvenuta. PaperUgo è anche un po’ così, anche se è un attore meno famoso e amato di Robin.
Ci sono elementi personali all’interno della sceneggiatura del fumetto o è una narrazione esterna e svincolata da qualsiasi riferimento al tuo privato?
Come ho detto prima, ho conosciuto la depressione faccia a faccia. Se siano state solo le facce degli altri o anche la mia, è un dettaglio irrilevante.
Sappiamo che Paperi è una trilogia. Puoi già darci qualche anticipazione sui prossimi protagonisti o tematiche trattate nella saga o ci lasci in sospeso fino al secondo volume?
Preferirei lasciarvi in sospeso, perché in ogni caso i prossimi due numeri vedranno la luce nel corso dell’anno, quindi non si tratta di una lunga attesa. I temi saranno diversi da quelli di PaperUgo, certo: né io né Giulio vogliamo proporre una versione paperizzata del manuale diagnostico psichiatrico! Ma saranno comunque tematiche feroci tanto quanto la nostra realtà sa essere.
Com’è stato lavorare con tuo fratello Giulio, era la prima volta che collaboravate ad un progetto comune o avevate già realizzato altri elaborati in coppia?
Il nostro più grande elaborato in coppia direi che è la nostra vita, dato che siamo vissuti insieme da prima della nascita. Paperi è la prima opera concreta in cui i nostri nomi compaiono insieme, e devo dire che la sensazione è quella di essere tornati a casa: lavorare con Giulio significa lavorare senza limitazioni e al massimo della sincerità. E poi la fiducia reciproca: non dobbiamo controllare il lavoro l’un dell’altro, sappiamo che, qualsiasi cosa l’altro farà, sarà anche meglio di come l’avevamo pensata.
Sappiamo che più che sceneggiatore sei principalmente uno scrittore, quando hai capito di avere questa vocazione?
La sceneggiatura è un modo diverso di romanzare, ma i principi sono gli stessi. Io credo che scrittori si nasce, non si diventa: scrivere è come mangiare, soddisfa un appetito fisiologico costante di cui non ci si riesce a liberare. Personalmente, scrivo da quando avevo meno di dieci anni, componevo “romanzi” di mezza pagina con la macchina da scrivere della mamma e poi chiedevo a papà di andarmi a trovare un editore quando usciva per fare la spesa. Si capisce, voler scrivere non basta: l’esercizio continuo è fondamentale, e l’esercizio fondamentale è la lettura. Se è vero che parliamo con la bocca perché sentiamo con le orecchie, allora è vero che scriviamo perché leggiamo: è la risposta ad uno stimolo.
Cosa consiglieresti ad un ragazzo che vuole intraprendere la carriera di scrittore?
Leggere, appunto. Leggere più che può, ma anche studiare con attenzione i classici che hanno fatto la storia della letteratura (anche i classici del fumetto!). E poi non smettere mai di soddisfare la fame di parole, anche quando sembra che sarà tutto inutile o quando abbiamo subito un’umiliazione. In fondo, ha ragione Kafka: uno scrittore che non scrive è un essere assurdo che sfida la follia.
Link Utili
Per ordinare PaperUgo online: shockdom-store.com
Pagina Facebook della gallery di Giulio Rincione: Batawp
Sito web del collettivo PeeShow: peeshow.it