Secondo il medico e sociologo francese Gustave Le Bon (Nogent-le-Rotrou, 7 maggio 1841 – Marnes-la-Coquette, 13 dicembre 1931), l’uomo, una volta trovatosi all’interno di una “folla”, perde le sue caratteristiche consuete e le coordinate che lo legano al consorzio civile e democratico, per tornare ad uno stadio ancestrale (mai sopito del tutto), in cui la ratio viene sopraffatta dall’istintualità e dello slancio impulsivo.
E in questo momento, per Le Bon, che si ha una folla “psicologica” e “midollare”, guidata, cioè, dal sentimento.
La “folla” leboniana può essere vasta come composta da un numero ristretto di unità, eterogenea come omogenea, vive un’esperienza limitata e soverchiante ed ha elementi fissi e comuni quali l’eccitabilità, il rifiuto della “medietas” etica e comportamentale (ferocia estrema o estrema magnanimità), il coraggio, l’incoscienza, l’uniformità di azione (il colto reagirà come l’ignorante), la credulità e la capacità manipolativa.
Ma non solo. Proprio come in un’epidemia e in una pandemia, la “folla”, suggestionata, si uniforma ad un pensiero dominante, al quale anche l’individuo che maturi un dubbio non cercherà di resistere, nel timore di trovarsi isolato e ghettizzato. Siamo quindi in presenza di un altro aspetto individuato dallo studioso transalpino, ovvero il “contagio”. Insieme a quelli già evidenziati, il fenomeno del “contagio” è alla base della vera e propria “caccia all’untore” di manzoniana memoria che in questo periodo ha visto coinvolti moltissimi italiani contro “runners” e passeggiatori solitari.
Benché le scienze che studiano il comportamento, la comunicazione e la propaganda abbiano ridimensionato da tempo alcune delle intuizioni di Le Bon, il suo pensiero continua tuttavia ad offrire spunti di interesse e chiavi di lettura esaustive.