Proseguono le interviste di QuotidianoApuano.net ad esponenti politici locali per conoscere meglio le ragioni del Si e del No in vista del referendum del prossimo 17 aprile sulle trivellazioni. Vi proponiamo l’intervista a Stefano Caruso, consigliere del Comune di Massa di Italia Unica, al quale abbiamo rivolto le seguenti domande:
– Ci può spiegare in cosa consiste il referendum sulle trivellazioni?
– Agli italiani verrà chiesto se vogliono abrogare una norma (il terzo periodo del comma 17 dell’articolo 6 del Codice dell’Ambiente) che consente alle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane fino all’esaurimento del giacimento, senza limiti di tempo. In altre parole verrà chiesto se, quando scadranno le concessioni, si vuole che vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio.
– Cosa prevede di modificare il referendum?
– Con la vittoria del “SI” le attività petrolifere sarebbero obbligate a cessare progressivamente la loro attività secondo la scadenza “naturale” fissata originariamente al momento del rilascio delle concessioni, al di là delle condizioni del giacimento. Lo stop, quindi, non sarebbe immediato, ma arriverebbe solo alla scadenza dei contratti già attivi. Inoltre, si potranno comunque ancora cercare ed estrarre idrocarburi al di là delle 12 miglia e sulla terraferma. Se vince il “NO” (o in caso di non raggiungimento del il quorum) le attività di ricerca ed estrazione non avrebbero una data di scadenza certa, ma potrebbero proseguire fino all’esaurimento dei giacimenti interessati. Le concessioni attualmente attive hanno una durata di trent’anni con la possibilità di due successive proroghe, di dieci e di cinque anni. Con una modifica apportata al testo in materia dall’ultima legge di Stabilità potrebbero però rimanere “per la durata di vita utile del giacimento”. Con il “no” questa possibilità rimarrebbe, ovviamente nel rispetto delle valutazioni di impatto ambientale che andranno in ogni caso fatte in caso di richiesta di rinnovo.
– Favorevole al si o al no? Perchè?
– La valutazione politica sul come votare deve tenere conto di diversi fattori. Innanzitutto si rende necessario fare una precisazione politica sull’origine di questo referendum promosso inizialmente da 10 regioni, poi diventate 9, di cui 8 a conduzione PD. Il fatto di non prevedere un election day avrà un costo ulteriore di oltre 300 milioni di euro in cui il partito che esprime la quasi totalità dei Governatori delle Regioni proponenti, oltre a non dare adeguata informazione mediatica al quesito ed alle sue conseguenze, sta praticando la politica dell’astensionismo dalle urne o della più pilatesca “libertà di coscienza” nel votare. Praticamente una sconfessione degli stessi promotori sottovalutandone le motivazione ispiratrici. A oggi nei mari italiani, entro le 12 miglia, sono presenti 35 concessioni di coltivazione di idrocarburi, di cui tre inattive, una è in sospeso fino alla fine del 2016 (al largo delle coste abruzzesi), 5 non produttive nel 2015. Le restanti 26 concessioni, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi, sono distribuite tra mar Adriatico, mar Ionio e canale di Sicilia. Di queste, 9 concessioni (per 38 piattaforme) sono scadute o in scadenza ma con proroga già richiesta; le altre 17 concessioni (per 41 piattaforme) scadranno tra il 2017 e il 2027 e in caso di vittoria del Sì arriveranno comunque a naturale scadenza. Il referendum avrebbe conseguenze già entro il 2018 per 21 concessioni in totale sulle 31 attive : 7 sono in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata e in Emilia-Romagna, una in Veneto e nelle Marche. Il quesito referendario riguarda anche 9 permessi di ricerca, quattro nell’alto Adriatico, 2 nell’Adriatico centrale davanti alle coste abruzzesi, uno nel mare di Sicilia, tra Pachino e Pozzallo, uno al largo di Pantelleria. Se l’Italia decide di smettere di estrarre entro le 12 miglia, il giacimento sarà comunque sfruttato da chi trivella dall’altra parte. Magari perforando a 45 gradi per raggiungere il giacimento causando anche danni ben maggiori che una perforazione verticale. La cosa ha una sua rilevanza economica perchè investitori, aziende e posti di lavoro potrebbero trasferirsi sull’altra costa e non rinunciare a un business che nel Mediterraneo si fa sempre più corposo. Nella sola provincia di Ravenna il comparto offshore impiega direttamente o nell’indotto 7 mila lavoratori. Se al referendum dovesse vincere il Sì, gli impianti delle 21 concessioni dovranno chiudere. Quelli che hanno le concessioni più recenti dovrebbero chiudere tra circa 20 anni, salvo eventuali cause di risarcimento per i mancati introiti derivanti dalla sospensione dello sfruttamento. In Italia sono circa 130 piattaforme offshore utilizzate per l’estrazione o produzione di gas e petrolio; e i quattro quinti del gas prodotto in Italia (che soddisfa circa il 10% del fabbisogno nazionale) vengono estratti dal mare, come pure un quarto di tutto il petrolio estratto in Italia. Nessuno al momento ha calcolato quale percentuale di gas e petrolio viene prodotta entro le 12 miglia marine, né quanto sono abbondanti le riserve dei bacini sottomarini che possono lambire la costa ma arrivare in mezzo al mare dove ci sono altre trivelle. Di qui la difficoltà di determinare i costi economici di una eventuale sospensione dell’estrazione. Compiere nuove trivellazioni entro le 12 miglia è già vietato dalla legge italiana, come confermato dal Decreto Sviluppo del 2012 proprio a firma dell’allora ministro Corrado Passera In sostanza una vittoria dei Sì impedirà lo sfruttamento degli impianti già esistenti, come per esempio quello di Porto Garibaldi Agostino al largo di Cervia, in concessione all’Eni che sarà costretta ad abbandonare la produzione anche se nei pozzi si trova ancora il gas del giacimento che si estende sotto il fondale marino chissà fin dove. Il fatto, comunque, di collocare le piattaforme oltre le 12 miglia non ci metterebbe ugualmente al riparo da eventuali danni ambientali perché venti e correnti marine non conoscono frontiere. È opportuno precisare infatti che il referendum non impedirà nuove trivellazioni al largo, né la costruzione di nuove piattaforme, ma solo lo sfruttamento di quelle già esistenti. Si chiede, quindi, di esprimere un voto “politico” sulla “strategia energetica” governativa, mentre la geopolitica globale fa grandi manovre sui giacimenti del Mediterraneo perché l’energia è strategica per tutte le economie e disfarsi di un proprio comparto già funzionante significherebbe esporsi a rischi maggiori, anche ambientali. Continuare l’estrazione di idrocarburi offshore è un modo sicuro di limitare l’inquinamento perché il 10% del fabbisogno nazionale prodotto in casa ha evitato il transito per i porti italiani di centinaia di petroliere negli ultimi anni. Inoltre una vittoria del SI avrebbe, secondo i contrari, pesanti conseguenze sull’occupazione e l’indotto.
– Secondo lei i cittadini italiani quanto sono informati sul referendum?
– Poco o nulla in quanto lo stesso Governo ha interesse a sottacere l’argomento per dissimulare la non condivisione interna degli eventuali risvolti economici e mascherare una spaccatura tra PD centrale e realtà delocalizzate.
– Perchè i cittadini dovrebbero votare NO?
– Le motivazione sono state descritte nella risposta al terzo quesito. Entrano in gioco fattori soggettivi e di appartenenza anche politica. Indubbiamente quello che si chiede a tutti gli elettori chiamati alle urne è di utilizzare il buon senso e valutare laicamente lo stato attuale delle cose. Il turismo, laddove insistono le piattaforme, non è certo un settore in crisi come qualcuno paventa (vedi Adriatico) e non si sono assolutamente riscontrati incidenti o danni ambientali di notevole rilevanza (ad esempio come quello accaduto in Messico). L’Italia è un paese caratterizzato dalle forti contraddizioni interne dettate dalle emozioni del momento. Adesso si chiede di andare innanzitutto a votare per far si che non siano sprecati ulteriori milioni di euro degli italiani, ed in seconda istanza di valutare le conseguenze nel medio e lungo termine sull’economia energetica di questo paese. Personalmente esprimerò il mio voto con un NO.