Come previsto e prevedibile, l’ANC vince arretrando (si ferma al 57,50% rispetto al 62% delle scorse politiche) confermando alla presidenza l’avvocato e imprenditore Cyril Ramaphosa.
Ex sindacalista, ex attivista anti-apartheid, braccio destro di Nelson Mandela e tra i padri della costituzione sudafricana (da molti considerata la migliore al mondo), Ramaphosa è forse l’ultima speranza per il Paese, dopo gli anni bui di Zuma e Mbeki. Mbeki, tra l’altro, gli fu preferito per il dopo-Mandela, nonostante “Madiba” lo avesse indicato come proprio successore.
I liberali di Alleanza Democratica restano la seconda forza sudafricana, con un 21% rispetto al 22% di cinque anni fa. Considerato il principale partito dei bianchi, il suo peso è un elemento che contribuisce a smentire la vulgata in base alla quale la minoranza bianca sudafricana sarebbe vittima di mirate politiche discriminatorie da parte della maggioranza nera
Motivo di qualche preoccupazone, la crescita deli estremisti dell’EFF (Economic Freedom Fighters ), partito spesso ostile ai bianchi e le cui linee vanno ben al di là della semplice “affermative action”. L’EFF resta comunque abbastanza marginale, passando dal 6% al 10,79%.
Il Sudafrica è uno dei principali attori sua scena internazionale e l’auspicio è che l’ANC e Ramaphosa siano in grado a rimetterlo in moto. Un tracollo del partito di Mandela avrebbe conseguenze potenzialmente catastrofiche, non solo per la “nazione arcobaleno”.