“La Russia ha rivisto gli obiettivi della sua operazione militare in Ucraina, che ora vanno oltre il territorio del Donbass. La geografia ora è diversa. Non ci sono solo le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk ma anche le regioni di Kherson e Zaporizhia e una serie di altri territori, e questo processo continua, in modo costante e ostinato”; così Sergey Lavrov, che tuttavia aggiunge: “All’Ucraina è impedito di compiere passi costruttivi in vista di un accordo di pace con la Russia. Viene letteralmente riempita di armi ed è costretta ad usarle in modo sempre più rischioso”.
E’ proprio questa seconda parte a contenere un grande elemento d’interesse; chiedendo, di nuovo, la cessazione delle forniture di ami a Kiev, Lavrov ammette infatti implicitamente i problemi (comunque lampanti e innegabili) che essa sta causando alla Russia. Il primo passaggio del suo discorso potrebbe quindi essere solo una minaccia (un ampliamento delle ambizioni putiniane sul teatro ucraino sarebbe d’altro canto irrealistico), per spaventare le controparti e convincerle ad optare per il “male minore” (appunto la perdita del “solo” Donbass)*.
La minaccia, non va dimenticato, è di per sé un indicatore di debolezza e insicurezza, e Mosca e i suoi canali di appoggio vi stanno facendo in questi mesi un ricorso massiccio e smodato, molto più del solito.
*Medveded ha non a caso lanciato un “avvertimento” simile nelle stesse ore