“Noi sovietici siamo i più ligi e scrupolosi nell’applicare gli accordi del 1943. Ci ha fatto comodo un PCI forte, ma entro una certa misura. Non avremmo potuto tollerare che il PCI, anche con mezzi democratici, si fosse avvicinato troppo al potere. Gli Americani avrebbero potuto accusarci di non rispettare i patti, decidendo così di intervenire maggiormente nella nostra fascia di sicurezza”. Così nel 1990 il capo del KGB Vladimir A.Krjuckov al suo omologo del SISMI Fulvio Martini, in visita a Mosca.
Al di là della coltre di suggestioni muscolari alimentate dalla propaganda, Mosca ha sempre mostrato un atteggiamento prudente con il più forte blocco atlantico, evitando ogni azione ed possibile forzatura degli equilibri jaltiani (con la sola parziale eccezione della guerra dell’ Ogaden) che potessero condurre ad una guerra distruttiva.*
Una linea che negli anni non è cambiata, sopratutto alla luce del brusco ridimensionamento della potenza della Russia e della scomparsa della sua cintura di alleati (tra il 1990 e il 1992) e che, sempre andando oltre la narrazione propagandistica, è testimoniata dall’inazione di fronte alla postura proiettiva occidentale dall’ex Jugoslavia alle cosiddette primavere arabe.
Questo esclude ogni ipotesi apocalittica in merito ad un confronto militare diretto tra Est e Ovest, in special modo nel caso in cui l’oggetto del contendere sia un blitz come quello si stanotte, azione di modeste dimensioni, sostanzialmente propagandistica e molto probabilmente annunciata al Cremlino, come avvenne nel 2017.
*per questo, Mosca mostrò sempre un atteggiamento ostile nei confronti di Ernesto Guevara. I dirigenti sovietici temevano infatti che l’intraprendenza del guerrigliero argentino in zone di influenza USA come il Sud America avrebbe potuto creare motivi di scontro con Washington.