L’utilizzo di argomenti considerati anti-storici e pretestuosi come il pericolo fascista è una delle accuse mosse con maggiore frequenza alla sinistra italiana, non soltanto dai suoi avversari. Se in parte questa osservazione può risultare fondata e razionale, è pur vero che anche a destra il ricorso allo spettro del comunismo come argomento contrappositivo ed espediente propagandistico è altrettanto frequente, insistente e percussivo.
Guardando ad esempio al caso Berlusconi, noteremo infatti come l’ex Cavaliere ne abbia fatto uno dei cardini del suo registro comunicativo e propagandistico, così da assicurarsi una riconoscibilità ideologico-politica e radunare sotto un argomento (una fobia) comune e condiviso anime altrimenti diverse come quelle che componevano il suo centro-destra. La campagna elettorale azzurra del 1994 poggiò non a caso su tracce semantiche e simboliche che ricordavano quella del 1948, mentre persino la figura di Stalin è sempre stata reclutata da Berlusconi per rinfacciare ad una certa sinistra il suo passato o come spauracchio per il presente.
Di nuovo, il rimprovero, frequentissimo, di radicalchicchismo o di seguire uno stile di vita borghese (si veda il caso di Roberto Saviano e dell’inesistente attico a N.Y) vorrebbe rimandare all’idea di un’incoerenza con principi (del marxismo) che invece il bersaglio di turno il più delle volte non condivide o non condivide più. Ugualmente diffuso un cliché come “cattocomunista”, rivolto al credente che abbraccia principi progressisti.
Ciò è dovuto ad una cristallizzazione del discorso politico italiano e della fisionomia ideologica degli elettori a schematismi tipicamente novecenteschi, incrostazioni la cui sopravvivenza risulta ancor più paradossale in un’epoca post-ideologica e liquida come quella odierna.
Nell’immagine: manifesto elettorale anticomunista del 1948