Tra i massimi protagonisti della fase resistenziale e dell’elaborazione costituzionale, il Partito d’Azione si dissolse nel volgere di pochi anni dalla ritorno della democrazia, lasciando dietro di sé questioni tutt’altro che piane. Se infatti per decenni la storiografia dedicata al PdA fu principalmente una “memoria delle memorie” (Guasco), cioè una rivisitazione da parte di alcuni dei suoi ex protagonisti (Ragghianti, Lussu, Bocca, Valiani, ecc), è solo nel 1982, con il saggio “Storia del Partito d’Azione” di Giovanni De Luna, che gli studiosi cominciano ad occuparsi della sua vicenda storica e politica.
Tra le chiavi di lettura in merito al declino del PdA, spicca il filone secondo cui gli azionisti avrebbero pagato una presunta distanza dalle masse (Bocca) e quello che identifica nella fine della lotta partigiana la fine dell’essenza stessa del partito, caratterizzato da una spiccata identità resistenziale. A parere di chi scrive è però il terzo filone la strada da battere, ovvero la teoria secondo cui l’azionismo fu tradito dalla sua natura “ibrida”, né compiutamente socialista né compiutamente liberale e liberista, in un’epoca dominata da una fortissima contrapposizione ideologica.
Come scrive a riguardo Vaccarino, contro l’azionismo operarono “la contraddizione marxista che rifiuta il liberasocialismo gobettiano e, separatamente da essa, quella cattolica che rifiuta il laicismo di origine illuminista”. Un concetto ripreso e ampliato da Carioti, che spiega come gli azionisti fossero visti dai socialcomunisti alla stregua di “nemici del capitale”, dai cattolici come “nemici del cristianesimo” e dai liberali puri come “falsi liberali, subalterni al comunismo” (!).*
E’ tuttavia Bobbio a riassumere nella maniera più esaustiva l’eccezionalità del PdA quale causa della fine della sua parabola storica: ” Gli azionisti si ritrovarono ad essere respinti dal grosso della borghesia che non voleva la restauratio e dal grosso del proletariato che non voleva rinunciare alla rivoluzione. Si trovarono invece faccia a faccia con la piccola borghesia che era la classe meno adatta a seguirli”.**
La scarsa fortuna del PdA, una formazione moderna con figure di primissimo piano del panorama culturale italiano ed europeo e con un’identità valoriale e pedagogica evoluta, è emblematica di una certa diffidenza storica dell’elettorato di casa nostra verso il moderatismo illuminato. Al contrario, ieri come oggi sono le suggestioni populiste ad avere maggiore fortuna e ad assicurarsi il dominio della scena.
*Antonio Carioti, “Maledetti azionisti”
**Norberto Bobbio, “Inchiesta sul Partito d’Azione”
Riferimenti biblografici: “Le due Italie. Azionismo e qualunquismo (1943-1948)”, di A. Guasco)