La nuova ondata di terrore che si è abbattuta sull’Europa ha fatto tornare, nell’agenda del dibattito, l’urgenza di un intervento basato sull’ “hard power” e, con esso, il paragone tra la resistenza davanti alla soluzione muscolare e l’attendismo dimostrato dalle grandi democrazie di fronte al nazifascismo nel secolo scorso.
La tesi (proposta anche da Enrico Mentana in un suo recente intervento) si dimostra, tuttavia, inefficace e semplicistica, perché disancorata dal criterio della contestualizzazione, base e snodo di qualsiasi indagine storiografica.
E’ infatti opportuno ricordare come l’Europa e gli Stati Uniti degli anni ’30 fossero reduci da un conflitto dalle proporzioni fino a quel momento inedite ed impensabili, la Prima Guerra Mondiale, che aveva coinvolto decine di stati , centinaia di popoli e tre continenti, seminando distruzione nel cuore dei centri abitati e lasciando sul campo 17 milioni di morti*, 20 milioni di feriti e mutilati e generando una crisi economico-finanziaria dalle proporzioni catastrofiche.
L’intreccio e l’analisi di questi elementi aiuteranno dunque a comprendere, e forse a giustificare, le resistenze di quei segmenti della pubblica opinione e della politica di allora dinanzi all’ipotesi di un nuovo e più devastante scontro con la Germania, forte, in aggiunta, dell’appoggio di due potenze vincitrici del precedente conflitto (Italia e Giappone).
*al numero di morti della Prima Guerra Mondiale andrà aggiunto quello dell’Influenza Spagnola (50 milioni stimati), pandemia direttamente legata la conflitto in quanto “esportata” dalle truppe statunitensi.