QuotidianoApuano.net ha intervistato Nicola Iacopetti autore del libro “L’Antro delle Apuane”, edito da Eclettica edizioni e che sarà presentato il prossimo venerdì 20 gennaio 2016, alle ore 17:00 presso il Mondadori store in piazza Bertagnini a Massa.
– Di cosa tratta il libro?
– Il libro possiamo considerarlo come una raccolta di fiabe, anzi, di racconti. Un viaggio sui sentieri delle apuane tra storia locale e leggende che sono state tramandate fino ai giorno nostri negli ambienti rurali e nei paeselli grazie alla memoria dei vecchi abitanti. Attraverso sette epoche storiche, ci si addentra tra paesaggi e paesi, tra crinali e vallate, accompagnati da personaggi realmente esistiti, personaggi frutto della mia fantasia e altri frutto della tradizione apuana.
Come nasce questa sua passione per i racconti e per le leggende apuane?
– E’ difficile descrivere questo passaggio. Tutti noi restiamo più o meno affascinati davanti a racconti di miti e leggende ambientati in mondi misteriosi. La nostra è una terra magica, ricca di leggende e personaggi fantastici. Quando sono venuto a conoscenza di questo mondo mitico grazie al libro del prof. Paolo Fantozzi (Le leggende delle Apuane), ho voluto approfondire a tutti i costi questo aspetto. Ho scoperto le correlazioni tra il substrato celto-ligure, quello longobardo che qui ha lasciato tracce importanti del suo passaggio e quello cristiano, rappresentato dalle numerose leggende relative a santi pellegrini e demoni. Tutto ciò ha prodotto una grande varietà di leggende che in qualche modo, attingendo alla vita rurale apuana, hanno finito per creare una vera e propria mitologia che definisce la nostra identità apuana e che in qualche modo merita di essere accessibile a tutti.
– Com è nata l’idea di realizzare questo libro?
– L’idea è nata un pomeriggio di inizio ottobre mentre percorrevo il sentiero che da Volpigliano porta a San Carlo. Dopo due anni trascorsi lontani da Massa, al mio ritorno ho sentito l’esigenza di scrivere qualcosa che fosse in qualche modo legato alla mia terra. Ho scoperto che nel resto della Toscana, poco o nulla si sa della nostra provincia, sia a livello linguistico che enogastronomico. Culturalmente parlando, lo stacco tra le Apuane e il resto della Toscana è talmente vasto che ancor più mi sono reso conto che l’identità apuana non ha nulla o quasi a che vedere con il resto della regione che ci ospita. Caratterialmente parlando poi, la durezza e l’asperità del terreno in cui viviamo, questa lingua di terra chiusa tra mare e vette che raggiungono i mille metri, ha prodotto un tipo di uomo pragmatico e rude, che ad un visitatore appare antipatico e chiuso, ma che in realtà conosce bene le difficoltà della vita. Diciamo che mentre il “toscano” è in qualche modo figlio delle campagne aperte e delle dolci colline, “l’apuano” vede di fronte a sé l’immensità del mare e alle sue spalle la durezza della nuda roccia. Libertà e oppressione. Forse è per questo che nella storia abbiamo sempre dato fastidio a tutti coloro che in qualche modo volevano soggiogarci. L’unica catena che può trattenere un apuano, è la sua terra.
– Qual è o quali sono il passo del libro a cui è maggiormente legato?
– I passi a cui sono maggiormente legato sono molteplici, perché in ognuno di essi è nascosta una piccola parte di me. Nella maggior parte dei casi è una parte che emerge dalle voci dei personaggi leggendari, più che in quelle degli uomini “comuni”. Sono i giganti, le divinità, gli streghi, che in qualche modo cercano di smuovere i ricordi ancestrali e le coscienze degli uomini. La morale di ogni racconto emerge dalle loro voci. Sono loro che aiutano gli uomini a comprendere i mali del mondo moderno, che cercano attraverso il grido di dolore di chi vive in una realtà ormai dimenticata a far passare un messaggio di speranza. La volontà è quella di far aprire gli occhi sulla bellezza di questa terra, sulle sue potenzialità, sul bisogno di evadere dalla realtà per trovare la chiave giusta per far rinascere una terra che la cupidigia dell’uomo ha ridotto ad un cumulo di fabbriche chimiche abbandonate, discariche, ferite aperte a mostrare il cuore dei nostri monti, spiagge che spariscono fagocitate da un mare sempre più inquinato. Conoscere il proprio territorio porta ad amarlo. Forse il problema è tutto qui, siamo un popolo ignorante sulla propria storia. Eppure, pur piccoli e poveri che eravamo, abbiamo sempre giocato un ruolo importante nello scacchiere della storia della penisola.
– Perché ha utilizzato il dialetto massese per ciò che riguarda i dialoghi?
– L’uso del dialetto nei dialoghi, da un lato riflette la mia visione di una Massa “Capitale delle Apuane”, in quanto città più popolosa di tutto il comprensorio, dall’altro cerca di unificare attraverso la lingua la storia della città. Che i Liguri apuani parlino come i massesi contemporanei, è un’ artifizio che tenta di fondare su una nostra peculiarità, l’identità apuana. Un procedimento inverso rispetto a quello che da Dante fino a Manzoni ha portato alla nascita della lingua italiana e al suo utilizzo come collante per unificare lo Stato italiano. Mi piacerebbe che il dialetto venisse insegnato a scuola, per non dimenticare mai chi siamo e da dove veniamo.
– Ci sono altri progetti in cantiere con Eclettica?
– Assolutamente si, e soprattutto sotto il profilo storico del territorio, da parte di entrambi c’è la volontà di continuare a raccontare le mille sfaccettature di questa terra benedetta e maledetta. Una terra baciata dal Mar Ligure e protetta dalle Alpi Apuane.