Con la fine della I Guerra Mondiale, le strategie comunicative dei paesi che avevano preso parte al confitto cambiarono. Non c’era più, come prima, la necessità di esortare il cittadino a partecipare agli sforzi per raggiungere la vittoria, a odiare l’Altro, ma occorreva convincerlo della bontà e dell’utilità dei sacrifici, spesso terribili, affrontati. Le tensioni sociali prodotte dal 1914-1918 stavano infatti mettendo a repentaglio la sopravvivenza delle democrazie liberali, offrendo una sponda pericolosissima ai due grandi estremismi dell’epoca.
I governi “fecero dunque ricorso ad articolate ritualità pubbliche e alla costruzione di monumenti ce avevano soprattutto come obiettivi quello di proporre un racconto pubblico condiviso e positivo dei fatto accaduti” (Bolzon).
In un suggestivo connubio tra misticismo religioso e civile, i caduti venivano celebrati e usati come assenti-presenti che mostravano ai vivi il cammino da seguire affinché il loro sacrificio non fosse vanificato.
Emblematico di questa strategia fu ed è il mito del Milite Ignoto, un’invenzione italiana poi ripresa da tutti, vincitori come sconfitti, allora e negli anni a seguire.