Nato in pieno berlusconismo, anche in risposta alla degenerazione politica e morale di quella fase storica, il M5S è passato da una breve collaborazione con la giunta siciliana di Crocetta (centro-sinistra) all’alleanza in Europa con l’UKIP di Nigel Farage e a quella di governo con la Lega salviniana. Oggi sembra profilarsi all’orizzonte un esecutivo “giallo-rosso”, con i grillini seduti accanto al PD di Zingaretti e gli ex LEU.
Se un approccio benevolo al M5S vede in questi cambiamenti la dimostrazione della loro natura liquida e post-ideologica e del loro interesse esclusivo per il rispetto del programma elettorale, una lettura ostile li identifica come un partito cosiddetto “pigliatutto” (Kirchheimer), interessato solo al potere, opaco, incoerente e capace di qualsiasi cosa pur di difendere la “poltrona”.
Un nodo gordiano ancora di là dal’essere sciolto, che impedisce a distanza di oltre dieci anni una definizione storico-politica chiara del movimento di Grillo e Casaleggio