Il 10 febbraio si commemora il “Giorno del Ricordo” una solennità civile nazionale italiana, che si celebra ogni anno, istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92, ricorda le vittime dei massacri delle foibe e le circa 350 mila persone che furono costrette a lasciare per sempre tra il 1946 e il 1960 i territori dell’Istria e della Dalmazia. I governi dell’epoca decisero di istituire in tutto il territorio nazionale circa 109 CRP (Centro Raccolta Profughi), dove furono ospitati oltre alle popolazioni giuliane, istriane e dalmate, anche coloro che fecero ritorno dalla Libia, dall’Etiopia, dalla Grecia e dall’Albania.
Anche nella provincia apuana erano presenti due centri di accoglienza: uno era a Marina di Massa, presso la Colonia Siena, meglio conosciuta come Don Gnocchi e l’altra era Marina di Carrara presso la Colonia Vercelli.
Secondo le stime raccolte dall’Ufficio Assistenza Postbellica, nel 1946 a Massa Carrara risultavano presenti 1.000 profughi, successivamente scesi a 853 nel maggio 1949, 811 nell’aprile 1950, 805 nell’aprile 1952, 806 nel 1955, 465 nel settembre 1959, 181 nel febbraio 1964, 57 nell’ottobre 1967.
I rapporti tra i profughi e la popolazione locale furono nel complesso buoni eccetto per piccole tensioni che emersero durante il 1946, legate al verificarsi di fenomeni di criminalità e di turbamento dell’ordine pubblico (ubriachezza, truffe, calunnie, atti vandalici, risse, rapine), come testimoniano i promemoria redatti dalla Pubblica Sicurezza all’interno del CRP e dall’Ufficio di vigilanza e accuse verso gli esuli colpevoli di togliere il lavoro ai locali.
Non fu facile per i profughi giuliano-dalmati e istriani calarsi nella nuova realtà. La coabitazione forzata in ambienti angusti, il più delle volte malsani, umidi e alle volte privi di riscaldamento, determinò tra gli esuli sensazioni di incertezza e di sfiducia: “Il campo profughi di Marina di Carrara non è dei peggiori, anche se è evidentemente inadeguato ai bisogni della numerosa collettività che ospita (…) Gli esuli giuliano-dalmati attualmente nel campo sono 638. Si tratta di 287 famiglie che totalizzano anche un bel numero di bambini al di sotto dei 12 anni. Un tempo erano ancora di più, ma oltre a quelli che si sono trasferiti in altre province, un centinaio di famiglie hanno trovato in questi ultimi anni una sistemazione autonoma fuori dal campo (…) In quanto alla provenienza dei profughi, il nucleo più forte e più compatto è quello dei dalmati, seguiti da quelli di Fiume e Pola. La vita del campo non viene giudicata troppo più dura di quelle di altre realtà, anche se si evidenzia come l’asilo interno sia stato fatto perché molti dei Carraresi non volevano che i propri bimbi stessero con quelli dei profughi”. 1.
Gli esuli, una volta accolti nella struttura, alloggiavano in piccoli camerini dove si condivideva un minuscolo spazio con altre due-tre famiglie. Altri invece furono sistemati in piccoli box: anche questi avevano piccole dimensioni delimitate da tre pareti e una tenda che faceva da ingresso. Non c’era il soffitto e venivano utilizzati cartoni per evitare sguardi indiscreti. Ai profughi venivano date brandine, un materasso in erba e coperte; i mobili venivano stipati nei box e potevano assumere impieghi differenti, mentre bagni e docce in comune erano situati in un altro padiglione.
Situazione molto simile avveniva nel Campo Senese (oggi Don Gnocchi) venne adibito nel 1946 a campo di raccolta per le popolazioni provenienti dalla Venezia Giulia e dalle zone dalmate. Nel corso della metà del 1947 la struttura ospitava 770 istriani a cui si aggiunsero i profughi giunti dalla Tunisia, dalla Grecia, dal Dodecaneso ed anche dall’Austria, arrivando ad un massimo di circa 900 presenze.
Il CRP massese era costituito da grandi padiglioni che si raccordavano tra loro mediante vialetti e circondato da mura piuttosto alte sormontate da filo spinato. Le cucine e i servizi igienici della struttura erano in comune. Il cibo veniva preparato in grosse quantità per consentire di sfamare il maggior numero possibile di persone. Ciascuna famiglia era ospitata in un box, che in alcuni casi poteva accogliere anche due nuclei familiari. I più fortunati potevano dormire in letti di legno, finché c’erano, perchè altrimenti il pavimento con con un pò di pagliericcio e coperte diventava un luogo dove potersi coricare.
Il nostro territorio oggi conosce diverse persone originarie dei territori dell’Istria e della Dalmazia che sono riuscite, dopo diverso tempo e nonostante le numerose difficoltà, a trovare un lavoro a rifarsi una vita e ad integrarsi perfettamente nella realtà apuana.
1 E. Balderi, Dai mitra jugoslavi al campo di Marina, in <<Lo Svegliarino>>, gennaio-febbraio 2006.
Foto tratta da http://www.liceoquadri.gov.it/progetti/ricordo/