Sole e mare sono gli elementi che caratterizzano il nostro territorio, ed essi sono essenziali non solo dal punto di vista ambientale, ma sono anche elementi importanti, fin dai tempi remoti, per la cura della persona.
L’acqua di mare, la più ricca di sali minerali esistente in natura, è da sempre considerata come un rivitalizzante, stimola l’attività circolatoria, ed è un antibatterico per chi vi si immerge.
Riserva di calore e mitigatrice delle variazioni termiche lungo la nostra costa, l’acqua di mare, arricchisce, grazie alla sua salinità, persino l’aria, favorendo l’aerosol marino come mezzo terapeutico naturale.
L’esposizione al sole inoltre, è base di una scienza medica, l’elioterapia, praticata in passato dai romani e tuttora per la cura di malattie della pelle, delle ossa, del sangue e respiratorie. Il sole non solo stimola l’umore, ma combatte anche gli stati di ansia e depressione, un vero toccasana per chi ne usufruisce.
Il turismo balneare e le strutture ricettive nascono proprio basandosi su questi effetti terapeutici. Nel corso del XVIII secolo, la preoccupazione della lotta alla tubercolosi si concretizza perciò in forme architettoniche, gli “ospizi marini“, volti ad accogliere soprattutto i bambini nel periodo estivo, mantenendoli a stretto contatto con l’aria e l’acqua del mare.
Con l’avvento del fascismo però, questi luoghi subirono un mutamento nella loro funzionalità, si perdono le caratteristiche ospedaliere, per far posto alla attività ludiche e alla prevenzione. Si evolvono nelle cosiddette “colonie marine” per l’infanzia.
L’origine dell’istituzione delle colonie marine, per cui, non fu una creazione del fascismo, quest’ultimo diede ad esse continuità, costruendone di nuove, ed impiegandole per i propri obiettivi politici e sociali. Parte integrante del progetto di risanamento della razza, nella colonia estiva, era quello di contribuire alla sanità fisica e morale dei giovani italiani, con uno scopo ben preciso: bambini forti avrebbero dato vita ad adulti altrettanto forti, e quest’ultimi avrebbero costituito un esercito forte.
“Architettura e urbanistica divengono il prolungamento dell’etica, della sociologia, della politica” aveva annunciato Le Corbusier, e gli istituti-colonie estive, suggellano proprio quell’avvicinamento dell’architettura razionale agli obiettivi sociali.
L’architettura, dunque, come medium educativo, il soggiorno come avventura di formazione, il progetto come predisposizione armonica di un accordo con la società. Forme semplici, funzionali, come prevede il movimento moderno. Prevalenza del colore bianco nelle costruzioni, come elemento e valore simbolico, ampi spazi comuni, ma soprattuto semplicità strutturale, dagli elementi esterni agli interni.
Il disegno delle colonie sembrava infatti incarnare le istanze pedagogiche e riformatrici dell’architettura moderna.
Ed è proprio a partire dagli anni ’20, su committenza dello stato o di grandi industrie, che vengono costruite, in breve tempo, enormi strutture. Tra le più importanti nel nostro litorale, la Torre Fiat (ex Colonia Torre Balilla), la Colonia Torino (ex Colonia XXVIII Ottobre), e la Colonia Ettore Motta.
L’opera più significativa, la Torre Fiat, fabbrica o meglio macchina edilizia appartenente all’eredità del Movimento Moderno, costruita in soli 100 giorni, da progetto dell’ingegnere Vittorio Bonadè Bottino, è uno degli esempi di grattacielo sul mare di questo periodo.
La forma del fabbricato-albergo è una scelta attenta. Volume compatto su una superficie ridotta, e uno sviluppo che si erge fino in alta quota, dove la vista sul mare ci porta ad immaginarci sulla prua di una enorme nave.
Lo sviluppo delle camerate si snoda su un nastro continuo a elica, che segue l’andamento della stessa rampa elicoidale, centrale nella torre. Questo dinamismo si riflette in maniera sottile, anche all’esterno, dove le finestre mantengono lo stesso continuo andamento elicoidale. Percettibile, anche dall’interno, l’inclinazione dell’estradosso del solaio, comporta una correzione, non di lieve identità, nell’arredamento, a causa della diversa altezza dei vari appoggi a terra.
Rigore delle forme, la loro coerenza e misurata eleganza compositiva, sfocia in quel monumentalismo tipico del movimento moderno, utile in fondo per colpire l’immaginazione e l’educazione al gusto dei bambini. Le forme delle piante, di molte queste tipologie di strutture, rendono persino omaggio alla “militarizzazione” delle colonie, ricordando e riproducendo le macchine da guerra.
Stessa essenzialità formale e razionalità, la ritroviamo nella Colonia Torino, composta da sei volumi compatti, di forma rettangolare, collegati tra loro da articolati sistemi di portici, con pilastri rigorosamente a pianta quadrata, sempre ad accentuare la geometria delle forme.
Bianche facciate intonacate si alternano, nei volumi degli ingressi, ai mattoni faccia vista, unica variante di rilievo.
Variante, il mattone a vista, che si ripete, nella adiacente, ma di precedente costruzione, Colonia Ettore Motta, in aggiunta ad elementi classicheggianti, colonne e bucature decorate, di impronta umbertina, che ne caratterizzano la facciata fronte mare. Gli ampliamenti sul retro di quest’ultima hanno, invece, un’impronta di severa razionalità, rottura dei canoni architettonici del passato, passaggio verso un’architettura futurista e razionalista, oramai però in stato di degrado e abbandono.
Passeggiare lungo il nostro litorale ci fa interrogare proprio su questo rapporto tra il passato e futuro, e il bisogno di avere cura di ciò che fa parte del nostro patrimonio e della nostra storia.
Oggi, in totale, sul litorale di Marina di Massa esistono ben 27 colonie, 12 delle quali costruite durante il periodo fascista. Oltre a quelle già citate, troviamo tra le più note la Colonia Olivetti e la Colonia Don Bosco, quest’ultima utilizzata attualmente come centro di riabilitazione.
La quasi totalità di queste strutture, danneggiate dagli eventi bellici, vennero negli anni poi progressivamente abbandonate, e oggi il degrado che ne deriva è noto a tutti.
Ma non tutto forse è perduto, se ne discute ancora, come recentemente è successo nel pomeriggio di sabato 9 gennaio al convegno, organizzato dall’associazione “Briciole”.
“Le colonie marine come fabbriche della nuova architettura: un patrimonio da tutelare e rigenerare” è quello che l’architetto Massimiliano Nocchi, propone attraverso i suoi laboratori sulle aree degradate o dismesse. “Colonie Reloading tools” era la mostra presentata lo scorso agosto a Palazzo Ducale, frutto dell’ultimo lavoro sulle nostre colonie, svolto dai suoi studenti del Politecnico di Milano, dove l’arch. Nocchi attualmente svolge la sua professione, ed è docente.
Riqualificazione, recupero, e integrazione nel contesto del territorio, sono alle basi del giusto intervento da fare su queste strutture. Ma come ricorda persino l’arch. Franco Lorenzani, al convegno, è indispensabile che Comune, Regione e progettisti, collaborino per puntare ad attuare, e scegliere un progetto univoco, che tenga conto di una nuova viabilità, organica con gli edifici da recuperare, e con il contesto delle pinete, rispondendo così anche alle sfide di una possibile nuova imprenditoria turistica, e di un nuovo rilancio della zona. Quello che ci auguriamo è che tutto ciò possa concretizzarsi ben presto in qualcosa di reale.
Saluti,
Brunetta Ulivi.
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Foto 3;6;30: http://www.museogalileo.it/assets/files/storia_scienza_under18/colonie_apuano.pdf
Foto 31: http://internofoto.tumblr.com/post/99388702246/si-%C3%A8-appena-chiuso-il-terzo-workshop-di
Foto 32: https://www.flickr.com/photos/leotambo/5362938965
Foto 35: https://francocanavesio.wordpress.com/page/32/