L’affermazione della destra nazionalista di PiS in Polonia non potrà né dovrà essere liquidata con la sterile e tracotante indignazione di chi fa fatica ad accogliere e comprendere un responso che va al di là delle sue traiettorie ideologiche ma dovrà essere analizzata a partire dal senso critico verso quell’istituzione che è oggi al centro della rabbia del conservatorismo populista: l’Europa.
Il dato che proprio le nazioni dell’ex blocco sovietico, un tempo percorse da una vera e propria isteria europeista, stiano a poco a poco prendendo le distanze da Bruxelles (paradigmatico, il caso ungherese), è infatti, un campanello d’allarme, il sintomo di un malessere verso un consorzio percepito oggi più che mai come ostile e lontano da quello spirito collegiale e inclusivo che fu alla base della sua ideazione.
L’Europa dei direttòri a tre (Francia, Germania e Italia) o, più frequentemente, a due (Francia e Germania), dei diktat, degli avvertimenti al limite dalla minaccia e dell’erosione delle sovranità nazionali oltre la soglia dell’accettabile, non é e non sarà infatti in grado di vincere la sua sfida con la storia, con il buonsenso e, in ultimo, con le urne.
Un “turning point” è dunque d’obbligo, se non si vorrà riportare le lancette del tempo al 1957 o, peggio ancora, al 1914/1915.