Oltre alla quarantena, misura profilattica medievale ideata per la prima volta dalla Repubblica di Venezia nel secolo XIV, esistono storicamente altre misure di contenimento per far fronte ad un’epidemia, sia in mancanza di una cura specifica sia per coadiuvarla.
Sanificazioni, disinfestazioni e un aumento della cura dell’igiene sono alcune di queste pratiche, usate ieri come oggi. Ieri come oggi, tuttavia, non sempre i cittadini si sono attenuti con scrupolo alle disposizioni delle autorità medico-sanitarie, e questo per una serie complessa di fattori che no sempre li vede e li ha visti aprioristicamente colpevoli.
In riferimento alle epidemie seicentesche, nonostante a Latina il governo avesse ad esempio disposto che nessuno potesse “tenere o far tenere più che due porci et una troia da semi” e che “nessun porcho non possa andare per il castello senza guardia”, c’erano “famiglie che ne tengono otto o dieci”.
Il 3 giugno del 1622, il Podestà di Bibbiena notava invece come molti non avessero rispettato il suo ordine di rimuovere il letame dalla cittadina: “Trovato che alcuni non havevano obidito li ordinai che fra tre giorni havessero levato il letame che è in luoghi pubblici altrimenti l’harebbe fatto levare a loro spese. Non ostante questo no l’hanno ubbidito”.
Il 27 giugno, sempre del 1622, il Podestà di Barberino del Mugello riportava: “In questo luogo ci è una piazza rimpetto al Palazzo della Podestaria et in suddetta piazza c’è ancora una chiesa che dal detto palazzo a detta chiesa vi è uno spatio di braccia ottanta in circa et il sabato vi si raduna gran numero di buoi e fanno di maniera tanto sterco che non si può uscire di casa. Quando piove detto prato prende in verso il palazzo e tutta quella sporcizia corre in verso il palazzo. E vi è un pozzo inanzi al detto palazzo che detta sporcitia guasta l’acqua di detto pozzo et ancora il sito sì cattivo che non ci si può abitare. Io ho scramato e sabato passato io li feci andare là su il fiume dove già erano solito fare e ci fu alcuno che dissono che volevano vedere chi era quel becco fottuto che li faceva levare e li fecero ritornare a mio dispetto”.
Il 4 settembre 1624, ecco cosa scriveva il Podestà di Castelfiorentino: “Ho fatto bandire per il mio messo che nessuno possa tenere porci o castroni nelle stalle di Castelfiorenino per levar via tutti i puzzi e fetori che potessino causare il morbo et di più fattogliene notificare per cedula, nulla di meno non mi hanno voluto obbedire e se ne son fate beffe”.
Draconiano il Podestà di Castefranco di Sotto, nel maggio 1622: “Sino a quì ci si vede pocha obbedienza, parte che ci è gran povertà et perché no sentano molto finché no si venga a farne carcerare qualcheduno”.
Il 22 giugno del medesimo anno, Cosimo di Andrea Mazzantini, commissario per Fucecchio, si dimostrava della stessa linea: “Quanto ai monti di letami il Podestà fece mandare il bando e nisuno ha volsuto ubidire. Imperò a questo bisogna che Lor Signorie faccino loro un comandamento penario e ancora farne gastigare qualcuno altrimenti non si rimedierà a questi puzzi”.
Concludiamo la ricognizione con le parole del Commissario Guiducci, incaricato nell’ottobre 1627 di aiutare il Podestà di Castelfiorentino: “Questi popoli sono iscredenti e non avendo a essere gastigati delli errori che hanno commessi nel trasgredire ai bandi per il passato sempre persevereranno in quelli, sì che sarebbe bene per esempio il farne gastigare qualcuno acciò che la molta clemenza non generi disprezzo”.