L’anniversario della crisi di Sigonella sta facendo (ri)emergere, nel solco di una “laudatio temporis acti” sempre presente nel dibattito politico nazionale, una lettura agiografica, e dunque scollegata dal rigore analitico, dell’operato craxiano durante quei convulsi giorni del 1985.
Un approccio più razionale e distaccato aiuterà tuttavia a disperdere la coltre di forzature ideologiche e patriottarde che impedisce un’analisi esaustiva dell’episodio, evidenziando, in particolare, che:
-il leader socialista non aveva altra strada se non quella di un’opposizione netta e diretta a Washington, in virtù del fatto che la pretesa americana di arrestare i responsabili dell’uccisione di Leon Klinghoffer (avvenuta in acque territoriali italiane e a bordo di una nave italiana) si poneva come una forzatura palesemente inaccettabile e non proponibile del diritto internazionale
-Craxi permise al capo dei terroristi, Abu Abbas, di lasciare impunito il nostro Paese, dopo un indegno balletto con le autorità italiane in cui il criminale dette l’idea di poter trattare da una posizione di forza. Da qui, e principalmente da qui, la frattura tra Italia ed USA, dal momento in cui il Presidente del Consiglio italiano tradì l’impegno preso con Ronald Reagan di tenere sotto custodia in Italia i palestinesi coinvolti nel sequestro dell’ “Achille Lauro”.
Abu Abbas venne arrestato in Iraq dalle forze armate statunitensi il 15 aprile 2003 e morì l’8 marzo 2004, ufficialmente per cause naturali.