L’emergenza Coronavirus aveva offerto alla scienza e ai suoi sostenitori un’occasione ideale per infliggere un colpo, forse decisivo, al movimento d’opinione anti-scientifico e ad un certo “complottismo”, per usare un’espressone oggi in voga.
Un’occasione che purtroppo, almeno in Italia, rischia oggi di sfumare.
Il teatrino di contraddizioni, cambi di fronte, errori, ripensamenti, incoerenze, contrasti e protagonismi che ha visto coinvolti virologi, immunologi, epidemiologi, statistici, ecc, amplificato e aggravato da un sistema mediatico più attento a fare sensazione che informazione, ha infatti arrecato un danno enorme alla scienza e ai suoi operatori, screditandoli agli occhi di un’opinione pubblica giù duramente provata dal virus e dalle sue ricadute economiche e sociali.
Il ritorno dei “gilet arancioni” è a riguardo un segnale di allarme che sarà bene non sottovalutare e snobbare, perché se è vero che il populismo è un normale lato critico della democrazia (Mény-Surel, Rosanvallon) è altrettanto vero che movimenti come quelli anti-scientifici e No Vax, legati spesso ai populismi anti-sistemici, realizzano quell’ideale aggregante tra le varie anime della società teorizzato da Laclau e che sembrava impossible solo fino a qualche anno fa.
Come avviene in altri ambiti e contesti, è allora necessario che medici e ricercatori siano affiancati dai professionisti della comunicazione delle strutture e delle istituzioni per le quali lavorano e collaborano (università, laboratori, ospedali, cliniche, apparati statali, ecc) in modo da restituire alla scienza la sua dimensione razionale anche nell’approccio con il pubblico.