Convivere, ovvero “fare vita comune nello stesso luogo”, stando alla definizione Treccani. In queste poche parole c’è tutto il fallimento della comunità di Carrara. Nella nostra città non c’è più nulla infatti che consenta di fare vita comune con i nostri concittadini, nè tanto meno partecipare attivamente alla società in qualsiasi forma. Sono venuti progressivamente a mancare tutti i cinema, i teatri, i luoghi di aggregazione culturale, gli eventi culturali che, mancando totalmente una progettazione, sono come meteore che passano lasciando una debole scia. Sono scomparsi del tutto i centri aggregativi e gli spazi per le attività sociali, politiche o di volontariato, che pure hanno avuto una importanza storica nella nostra comunità. Le scuole – lo abbiamo visto – versano in condizioni tale che riescono a malapena a svolgere il loro compito, figuriamoci se possono anche svolgere funzioni aggregative al di fuori di esse. Ogni funzione sociale e aggregativa è considerata come un extra, e per fruirne si è costretti a cambiare centro, spostandosi al di fuori della comunità. Ecco quindi che non si tratta più di convivere, ma di coabitare: abitiamo nella stessa casa, ma non condividiamo nulla e non ci rivolgiamo neppure la parola. Ecco quindi il paradosso: mentre negli anni il festival Conviere andava acquisendo maggior fama al di fuori della città, all’interno di essa ogni spazio di convivenza veniva viavia abbandonato, riducendo la città alla condizione di quei quartieri dormitorio delle periferie urbane e oggi, con questi quartieri, ci rendiamo conto di condividere i problemi. E, paradosso nel paradosso, mentre nelle grandi città questo problema riguarda soprattutto le periferie, a Carrara il problema è tanto maggiore quanto più ci si avvicina al centro storico. Lo stato della nostra comunità è questo, non per sfortuna o per un destino cinico, nè tanto meno per questione di cittadinanza o colore della pelle, ma perché se applichi ad una comunità gli stessi metodi che hanno portato al fallimento delle grandi periferie urbane, non potrai che ottenere gli stessi risultati. Occorre ricostruire un tessuto sociale che si è disgregato, ma attenzione: non sarà facile e neppure veloce, e sopratutto non aspettiamoci che sia qualcun altro a farlo per noi. Sta ad ognuno di noi metterci in gioco e fare la nostra parte, perché se è vero che non sarà veloce, è ancor più vero che dobbiamo iniziare al più presto possibile a invertire la rotta, avendo il coraggio di cambiare la gestione della nostra città. Qualcuno in questi anni ha obbiettato che per mettere in atto certi progetti, per avere servizi sociali, centri di aggregazione, cinema e teatri, occorrano soldi. Ed è vero. Ecco allora che c’è un’altra parola che deve sempre andare di pari passo con convivere, ed è condivisione. Ovvero, secondo Garzanti, “l’atto di condividere una risorsa”.