Subito dopo aver preso il potere, Nicolae Ceaușescu riuscì ad accreditarsi, in Romania come all’estero, grazie alla condanna, clamorosa per un leader dell’Est Europa, dell’invasione della Cecoslovacchia da parte del Patto di Varsavia (1968) e al conseguente rifiuto di inviare le truppe di Bucarest per reprimere il nuovo corso dubcekiano.
Per una nazione come la Romania, pesantemente condizionata ed umiliata dall’influenza sovietica (si veda il caso delle SovRom), una simile rottura rispetto al Kremlino costituì un’occasione storica per riscoprire l’orgoglio nazionale, mente in Occidente si prese a corteggiare il Conducător* , considerato, come Tito negli anni ’40-50, un potenziale grimaldello per scardinare dall’interno il blocco socialista.
Il feeling tra Bucarest e le democrazie atlantiche proseguì ininterrottamente per tutti gli anni ’70 fino alla prima metà degli ’80 (la Romania fu l’unico Paese socialista e rifiutare il boicottaggio dei Giochi Olimpici di Los Angeles del 1984), per poi esaurirsi progressivamente dopo l’arrivo sulla scena di Michail Gorbačëv , un leader con il quale l’Occidente poteva finalmente trattare in modo aperto, trasparente e proficuo, senza più bisogno di ricorrere alla complicità destabilizzante di “schegge impazzite” come il dittatore romeno.
Ma è del 1989 la svolta più eclatante nel percorso del “genio dei Carpazi”; di fronte ai cambiamenti liberali in atto in Polonia, prima offrì a Varsavia due miliardi di dollari in cambio della rinuncia al riformismo*, dopodiché arrivò a sollecitare un intervento armato simile a quelli del 1956 e del 1968, che lui stesso aveva condannato dalla sua elezione fino al vertice del Patto di Varsavia dell’anno precedente. Timoroso di un effetto domino che, come poi accadde, potesse interessare anche la sua leadership, rinnegò dunque l’essenza prima della sua ideologia, ovvero il socialismo in chiave nazionale e sovranista.
Il repentino e sconcertante cambiamento che Ceaușescu decise di imprimere alla sua politica estera in quei mesi del 1989, dimostra e conferma tutta l’imprevedibilità e la pericolosità di chi detiene il potere in modo non democratico**, offrendo un’utilissima lezione storica a quel movimento d’opinione che oggi guarda con fiducia, o nostalgia, a taluni despoti del mondo arabo.
*Alcune onorificenze con le quali i Paesi occidentali omaggiarono Ceaușescu:
-Grande Stella dell’Ordine al Merito della Repubblica Austriaca (Austria)
-Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (Italia)
-Classe speciale della Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Federale Tedesca (Repubblica Federale Tedesca)
-Cavaliere dell’Ordine dei Serafini (Svezia)
-Cavaliere dell’Ordine dell’Elefante (Danimarca)
-Cavaliere di Gran Croce Onorario dell’Ordine del Bagno (Regno Unito)
** la situazione economica polacca era, alla fine degli anni ’80, estremamente preoccupante, tanto da far parlare di “wielka katastrofa”, “grande catastrofe”.
*** per rispondere a quella che percepiva come una minaccia da parte ungherese a causa del contenzioso sulla minoranza magiara in Transilvania, Ceaușescu arrivò persino a minacciare di dotarsi di missili nucleari da usare contro l’Ungheria.